23/09/00 : Michel de Brébisson ci trasmette un articolo apparso su Le Monde del 13/09/2000

Rédigé par Enrico Alberini

Su “Le Monde” del 13 settembre 2000 : La bicicletta, è una cosa seria

La bicicletta permette di spostarsi in città liberamente e per distanze di numerosi chilometri; è utilizzabile da una larga frangia di popolazione; è ottima per la salute; occupa poco spazio sulla strada; non fa rumore; non inquina; non è responsabile di incidenti gravi; non consuma carburante; non contribuisce all’effetto serra… Non si finisce di enumerare i suoi vantaggi individuali e collettivi che spiegano la buona immagine di cui beneficia nell’opinione.

Tuttavia, la bicicletta resta il parente povero dei mezzi di trasporto urbano. Con l’eccezione rimarchevole di Strasburgo, la sua pratica sì è poco a poco marginalizzata nelle città francesi. Certo, alcune città hanno recentemente fatto dei lavori per favorire la bicicletta, ma questo sforzo, talvolta vicino al bricolage, ha permesso solamente di limitarne il declino.

Le prospettive future sono ben poco incoraggianti, tra i ventisette piani di spostamento urbano adottati alla data limite del 30 giugno 2000(sui sessantacinque resi obbligatori dalla legge sull’aria), molti prevedono delle misure favorevoli alla bicicletta, ma solamente 10 stanziano un finanziamento specifico, d’altronde modesto: 4 milioni di franchi, cioè come dire niente, 100 milioni è appena il costo di un chilometro di  tramway.

Questa situazione è paradossale, perché gli investimenti in bicicletta sono i più redditizi per ridurre il traffico automobilistico. Un viaggio automobilistico urbano su due è lungo meno di tre chilometri: la bicicletta può quindi diventare un trasporto di massa e i mezzi finanziari necessari per una politica della bicicletta ambiziosa sono irrisori se paragonati ai crediti destinati ai trasporti, collettivi o sommersi dai continui (e inutili) lavori stradali.

Come spiegare il paradosso? In Francia la maggior parte dei rappresentanti eletti parla della bicicletta urbana con un sorriso all’angolo delle labbra.

Alcuni vedono nella bicicletta solo un accessorio, buono per gli studenti poveri e gli emarginati autofobici, un arcaismo nell’era dell’automobile, o addirittura un gadget alla moda al quale bisogna sacrificare una volta all’anno, cavalcando per qualche minuto un nuovo attrezzo durante la Festa della Bicicletta: un pezzo di pista ciclabile qua e là andrà bene.

Gli altri sono scettici: la bicicletta è buona per il tempo libero, non per gli spostamenti quotidiani; è buona per gli olandesi, non durerà mai in Francia. è quindi inutile impegnarsi in una politica coerente che comprenda itinerari sicuri senza deviazioni dissuasive, ben segnalati e mantenuti, parcheggio sicuro anch’esso, complementarità con i trasporti collettivi, servizi di noleggio e di riparazione, bici funzione, promozione della bicicletta, assunzione di tecnici competenti…

Ma, non molto tempo fa, si diceva anche: il tram è un bene per gli svizzeri. Lo stesso vale per la bicicletta come per il trasporto collettivo. Il suo uso non è una questione di cromosomi o di particolarismi culture. Su “Le Monde” del 13 settembre 2000: La Bicicletta, è una Cosa Serials: i cambiamenti di comportamento sono direttamente legati agli sforzi dei pianificatori. A Friburgo-en-Brisgau, città media prospera della Foresta Nera, in vent’anni, la parte della bicicletta negli spostamenti meccanizzati è passata dal 16 al 29%, quella degli autobus e dei tram dal 22 al 29%, e quella dell’automobile dal 60 al 43%! A Ginevra, l’uso della bicicletta è raddoppiato in dieci anni perché i suoi rappresentanti eletti ne hanno avuto la volontà politica.

È quindi giunto il momento che i nostri politici cambino direzione e considerino la bicicletta come un mezzo di trasporto a pieno titolo, poiché può contribuire, come il trasporto collettivo, alla diminuzione del traffico automobilistico, alla qualità della vita urbana e alla lotta contro l’effetto serra.

Il ruolo degli eletti locali sarà determinante, ma il governo non deve restare inattivo. Può, ad esempio, accelerare la riforma del codice della strada, le cui norme penalizzano i ciclisti. L’abolizione dell’IVA sull’acquisto e sulla riparazione delle biciclette costerebbe allo Stato meno della demagogica abolizione del bollo automobilistico. E soprattutto, al di là della sua utilità, avrebbe un forte impatto psicologico: in questi tempi di conferenza internazionale sull’effetto serra, dimostrerebbe che la bicicletta è seria.

Jean Sivardière, presidente della Fédération nationale des associations d’usagers des transports (Fnaut).